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  LA FRECCIA DEL TEMPO

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mercoledì 13 settembre 2023

LA FRECCIA DEL TEMPO: DALLA SCIENZA ALLA FILOSFIA

Una nuova teoria spiega perché il tempo ci appare scorrere in una sola direzione come un effetto finora ignorato della gravità ? La teoria però comporta che il big bang non sia affatto l’inizio di tutto, ma solo un punto centrale da cui si dipartono due frecce del tempo in direzioni opposte: così noi saremmo nel lontanissimo passato di un universo che scorre lungo la freccia del tempo opposta alla nostra, e viceversa. Che si tratti della gravitazione di Newton, dell’elettrodinamica di Maxwell, delle relatività speciali e generali di Einstein o della meccanica quantistica, tutte le equazioni che meglio descrivono il nostro universo funzionano perfettamente sia che il tempo scorra in avanti sia che scorra all’indietro. Per più di un secolo, la spiegazione standard per "la freccia del tempo", come la chiamò per primo l’astrofisico Arthur Eddington nel 1927, è quella di una proprietà emergente della termodinamica, come fu indicata per la prima volta nel XIX secolo dal fisico austriaco Ludwig Boltzmann. In questa prospettiva, ciò che percepiamo come freccia del tempo è in realtà solo l’inesorabile ricominciare ad arrangiarsi di stati altamente ordinati in inutili configurazioni casuali. Cioè un prodotto della tendenza universale di tutte le cose di raggiungere l’equilibrio tra di esse. L’essenzialità di questa idea è che "le cose vanno a catafascio", ma, più formalmente, si tratta di una conseguenza della seconda legge della termodinamica, che Boltzmann contribuì a formulare. La legge stabilisce che in ogni sistema chiuso, come l’universo stesso, l’entropia , il disordine può solo aumentare. L’aumento di entropia è una certezza cosmica, perché per un determinato sistema ci sono sempre molti più stati disordinati di quelli ordinati, così come ci sono molti altri modi per sparpagliare i documenti su una scrivania che per sistemarli in un unico mucchio. La freccia del tempo della termodinamica allora suggerisce che il nostro universo osservabile sia iniziato in uno stato molto speciale di ordine elevato e bassa entropia, tutto era a posto e fermo, come un incontaminato uovo cosmico materializzatosi all’inizio del tempo per poi essere rotto e strapazzato per tutta l’eternità. Dall’epoca di Boltzmann in poi, gli scienziati allergici a una tale immacolata concezione hanno lottato con questo enigma.A distanza di anni, Nel terzo millennio, Si ha ancora fiducia nella prospettiva che l’aumento di entropia sia la sola fonte per la freccia del tempo, senza bisogno di altre influenze come ad esempio la gravità. La vera domanda è: il nostro universo è così? Questa è la questione più difficile." Alan Guth, cosmologo Massachusetts Institute of Technology ed altri hanno lavorato ad un tentativo di risposta termodinamica alla nuova sfida di una freccia gravitazionale del tempo: Il segreto termodinamico per il successo del modello, dicono, è l’ipotesi che l’universo abbia una capacità di entropia illimitata. Insomma, "Arthur Eddington coniò il termine ’freccia del tempo’, e fece la famosa affermazione che il rimescolamento di materia ed energia è l’unica cosa che la natura non può annullare”. "Noi siamo qui, a mostrare al di là di ogni dubbio, che questo è in effetti esattamente ciò che fa la gravità. Prende sistemi che sembrano straordinariamente disordinati e li rende meravigliosamente ordinati. E questo è quanto è successo nel nostro universo. Stiamo realizzando l’antico sogno greco dell’ordine che emerge dal caos."

E A TUTTO QUESTO SI AGGIUNGE LA FILOSOFIA

L’evidenza che il tempo ha nell’esperienza comune costituisce il punto di partenza dell’analisi filosofica. Tuttavia non appena si passa alla traduzione concettuale di quella realtà,che pure appare essere punto di riferimento centrale nella costruzione della nostra esperienza e insieme del senso della nostra esistenza, immediatamente emerge la difficoltà di tradurre in concetti il nostro vissuto temporale. È l’imbarazzo che mostra Agostino: “Eppure vi è o no una nozione più familiare e nota, nei nostri discorsi, del tempo? Che cos’è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede lo so; se vogliono che lo spieghi loro , non lo so”. Infatti sembra che ad un proprio alunno che gli chiedeva : "maestro, ma prima che il mondo fosse Dio cosa faceva? Lui rispose: pensava a costruire l’inferno per quelli come te! Ma questo imbarazzo traduce in realtà una condizione aporetica ( incerta )del tempo, come bene aveva chiarito Aristotele. Il tempo si pone come qualcosa che è distinguibile in parti e quindi divisibile in presente, passato e futuro. Ma queste parti del tempo, che costituiscono l’orizzonte della nostra vita, quando vengono analizzate, diventano prima inafferrabili per poi quasi dissolversi. Passato e futuro infatti sembrano appartenere piuttosto al nulla che all’essere. Sono varianti per così dire del nulla. Infatti l’uno non è più e l’altro non è ancora. Però l’uno costituisce il distendersi e l’accumularsi nella nostra memoria dell’esperienza del nostro trascorrere la vita. L’altro si pone come l’apertura dell’orizzonte del nostro agire, cioè del nostro rapportarci al mondo secondo i nostri bisogni, paure e speranze. Lo stesso presente, nella sua riduzione al puro punto senza estensione, mostra di non poter avere nessun carattere di permanenza e di stabilità come pure sembra richiedere la nostra ingenua concezione del presente. L’aporeticità del tempo, a partire dal pensiero di Parmenide, coinvolge innanzitutto il carattere di “essere” del tempo e insieme forse l’origine legittimo del parlare della natura temporale o meno degli enti che sono nell’essere. L’essere non è tempo. Con questo asserto Parmenide rompe con l’esperienza greca. Parmenide, vede la realtà, ormai espressa nella riduzione a sostantivo neutro del participio presente del verbo essere : L’essere è l’«è». “L’essere non era né sarà, giacché esso è ora, tutto insieme, uno e continuo. . Il tempo, messo in questione da Parmenide in nome dell’essere, semplicemente non è. Però esiste forse un senso dell’essere, che legittima il tempo nel suo essere? Può darsi. Ma anche Aristotele, per il quale il divenire e quindi anche il tempo che ne costituisce la struttura essenziale, sono posti come indubitabilmente essenti, come tali, per cui la loro negazione non è neppure in grado di costituirsi, deve ammettere che il tempo nella sua immediatezza si pone come aporetico. L’aporetica assume, nella maggior parte delle considerazioni del tempo, il carattere di una trattazione preliminare ineliminabile . Questa “tensione” in termini di fisica si traduce come irreversibilità - la freccia del tempo - e nel secondo principio della termodinamica sulla dissipazione dell’energia. Ma in termini filosofici questa considerazione del tempo introduce il non essere, cioè quanto non può né essere né essere detto e pensato, secondo l’ingiunzione parmenidea. L’aporetica coinvolge quindi insieme l’esistenza e l’essenza. IL DOMANDARE FILOSOFICO SUL TEMPO La filosofia si apre dunque con la domanda sul tempo: a) se esiste; b) come esiste; c) qual è la sua natura. Un tale domandare ha una caratteristica peculiare: esso coinvolge insieme colui che domanda, in quanto essenzialmente contrassegnato nel proprio essere dal tempo. Si interroga sul tempo colui che è per essenza un “essere nel tempo”. Come osserva Seneca: Reliqua nobis aliena sunt, tempus tamen nostrum est. “L’essere dunque viene concepito a partire dal tempo”. In questo modo la questione “del” tempo ha valore insieme soggettivo e oggettivo. Attraverso il tempo, è problematizzato l’essere dell’uomo e infine l’essere tout-court. PER LE SCIENZE E IL TEMPO , tuttavia non si può assolutamente dimenticare che nella tradizione filosofica occidentale la questione del tempo ha insieme valenza filosofica e scientifica. Questo legame permane anche nel filone di riflessione platonica e neo-platonica

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