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  F. DE SANTIS E IL PROPRIO PENSIERO

martedì 28 novembre 2023

La sera del 18 febbraio 1848, Francesco De Sanctis lesse un discorso alla presenza del ministro della Pubblica Istruzione del Regno delle Due Sicilie e di un gruppo di giovani. De Sanctis era a quel tempo essenzialmente un educatore. Aveva insegnato molto, ma aveva scritto ancora ben poco. Nel Discorso a’ giovani si rivolge quindi al pubblico come un maestro: Giovani, voi eravate una volta individui: ora esser dovete una classe. Importa che gl’individui si riuniscano in classi; importa che di sopra alle particolari opinioni stieno saldi alcuni princìpî a cui tutti ubbidiscano; il che è mestieri massimamente a’ giovani, troppo sensitivi, e troppo facili a ricever nell’animo ancor nuovo di ogni sorta impressioni. Voi esser dovete; voi siete una classe. Ché quando gli uomini diceano di doversi confidare ne’ giovani, quando diceano: - Viva è la fede ne’ giovani, e la patria è religione in loro, - quando attribuivano a voi un sentimento comune; essi vi hanno fatto una classe. Vi manterrete voi tali? Nol so: oggi ci ha molti interpetri dell’avvenire; io vi guardo con lo sguardo dubbioso. Nol so: dirò solo che tali voi sarete, quali vi farà l’opinione. L’opinione è onnipotente, e voi lo sapete. Ma tali vi farà l’opinione, quali voi meriterete di essere. L’opinione è la ragione stessa fatta dal popolo, e voi lo sapete.

Poi di Filippo De Sanctis le tappe e i percorsi che lo hanno condotto ad interpretare la Filosofia e la Letteratura e modulare la Critica, sono tutte importanti fu comunque un assertore della estetica esistenzialista più che un realista.

Egli coglie nella a ‘filosofia della letteratura hegeliana una filosofia costituita da una dimensione teorica, critica e storica. Poi cerca di inserire in particolare la letteratura nel pensiero hegeliano delle arti. L’arte è la prima forma del sapere assoluto e occupa una posizione intermedia tra sensazione e pensiero. La letteratura, come la ‘poesia’, in Hegel è l’arte che più esprime, rispetto alle altre, il concetto di arte e, allo stesso tempo, per la sua posizione di confine e di vicinanza alle altre forme dello spirito assoluto, è la migliore candidata a sperimentare la fine. La poesia, infatti, utilizza la parola come suo mezzo espressivo. Questo la colloca in una posizione di stretta vicinanza col quotidiano, la vita di tutti i giorni, da una parte, e le altre forme dello spirito assoluto, la religione e, soprattutto, la filosofia, dall’altra. La ‘poesia’ si trova così stretta tra la "prosa del mondo" e la "prosa della scienza" o "prosa del pensiero". Questi tre elementi, costituiranno la traccia per il modello di interpretazione della produzione letteraria contemporanea, presente in Hegel. Ci si chiede quindi se la filosofia della letteratura hegeliana ci conduca verso una teoria del romanzo. Si analizzano, infine, alcuni elementi e caratteri che fanno vivere l’arte nella modernità per Hegel, in stretta relazione con la letteratura (umano; comico, ironico, umoristico; quotidiano). A seguire viene proposta un’interpretazione ‘hegeliana’ della produzione letteraria contemporanea. Ci si sofferma sul dibattito riguardante la ‘fine’ della letteratura. Sulla base del modello tratto dalla ‘filosofia hegeliana della letteratura’, si individuano tre poli ( dialettici): la ‘poesia’, che è la letteratura in quanto arte; la ‘prosa del pensiero’, che è la tendenza della poesia a superare se stessa, attuando processi riflessivi e cerebrali; la ‘prosa del quotidiano’, che è invece la tendenza a far entrare il mondo reale nella ‘poesia’. In conclusione Il legame tra filosofia e letteratura trova dunque in Francesco De Sanctis una espressione di comparazione estetica in Leopardi e di un esito ermeneutico in Schopenhauer. De Sanctis è una personalità che ha aperto la letteratura al moderno del pensiero filosofico e la cultura alla militanza. Nato a Morra Irpina il 28 marzo 1817 e morto a Napoli il 29 dicembre 1883. Egli afferma che “La parola è potentissima quando viene dall’anima e mette in moto tutte le facoltà dell’anima ne’ suoi lettori, ma, quando il di dentro è vuoto e la parola non esprime che se stessa, riesce insipida e noiosa”. Oggi come a metà dell’Ottocento. Oltre questi confini di noiosità ci sono i confronti, le accettazioni di posizioni filosofiche e ideologiche e le non accettazioni di una letteratura senza un posizionamento critico – storico – ideologico. Da una visione realista completamente superata dall’estetica che nasce all’interno dei processi filosofici ad una assenza di metafisica sulla quale prende il sopravvento non il positivismo ma la ragione del testo. Francesco Saverio De Sanctis è da considerare come il primo storico della letteratura, od anche come è detto, il primo critico che applica al testo la militanza e non l’accademismo, che sfugge allo storicismo e propone l’interpretazione estetica, che si lega si alla filosofia hegeliana, ma inserita in un pensiero luminoso il cui fine è la bellezza. De Sanctis, dunque contrappone l’estetica di Hegel a quella estetica che si vive come vera e propria forma. Anche nel saggio : dialogo comparativo fra Leopardi e Schopenhauer pone a confronto il " Materialismo" di Leopardi ( comunque assai discutibile) e lo spiritualismo di Schopenhauer. De Sanctis comunque non può essere definito un realista ma semmai egli sostiene una estetica esistenzialista. Quando afferma che il suicidio fu l’ultima virtù degli antichi. Infatti alla fine formarono lo stoicismo , una filosofia della morte. Spiegando che essi non sapendo più come vivere con ardimento, vollero saper morire da eroi. Una profezia questa per ciò che sarebbe accaduto nel secolo successivo. Poi De Sanctis non smise mai di essere intellettuale e narratore. In una autobiografia che ha dato voce alla sua storia e a tutto ciò che è dentro la memoria della sua vita infatti si legge: “Ho sessantaquattro anni, e mi ricordo mia nonna come morta pur ieri. Me la ricordo in cucina, vicino al foco, con le mani stese a scaldarsi, accostando un po’ lo scanno, sul quale era seduta. Spesso pregava e diceva il rosario. Aveva quattro figli, due preti e due casati. Uno era in Napoli, teneva scuola di lettere e si chiamava Carlo; gli altri due stavano a Roma esiliati per le faccende del 21, ed erano zio Peppe e zio Pietro, il quarto era papà, che stava a casa e si chiamava Alessandro. Mia nonna era il capo della casa, e teneva la bilancia uguale tra le due famiglie e si faceva ubbidire”. Così lo storico della letteratura ha spesso abbandonato l’analisi critica del testo, per entrar nei vissuti dei poeti e degli scrittori. Una estetica, la sua, che ha sempre fatto i conti con i linguaggi di una estasi che si è spalmata nel raccontare la letteratura e la vita nella letteratura. Però quella sua comunione fra Leopardi e Schopenhauer cui riconduce da Hegel, anche se pensa la filosofia come atto di pensiero fuori dal metafisico.

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